STATUTO DEI LAVORATORI
L.
20-5-1970 n. 300
Norme
sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e
dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento.
Pubblicata
nella Gazz. Uff. 27 maggio 1970, n. 131.
Epigrafe
1.
Libertà di opinione.
2.
Guardie giurate.
3.
Personale di vigilanza.
4.
Impianti audiovisivi.
5.
Accertamenti sanitari.
6.
Visite personali di controllo.
7.
Sanzioni disciplinari.
8.
Divieto di indagini sulle opinioni.
9.
Tutela della salute e dell'integrità fisica.
10.
Lavoratori studenti.
11.
Attività culturali, ricreative e assistenziali e controlli sul servizio di
mensa .
12.
Istituti di patronato.
13.
Mansioni del lavoratore.
14.
Diritto di associazione e di attività sindacale.
15.
Atti discriminatori.
16.
Trattamenti economici collettivi discriminatori.
17.
Sindacati di comodo.
18.
Reintegrazione nel posto di lavoro.
19.
Costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali.
20.
Assemblea.
21.
Referendum.
22.
Trasferimento dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali.
23.
Permessi retribuiti.
24.
Permessi non retribuiti.
25.
Diritto di affissione.
26.
Contributi sindacali.
27.
Locali delle rappresentanze sindacali aziendali.
28.
Repressione della condotta antisindacale.
29.
Fusione delle rappresentanze sindacali aziendali.
30.
Permessi per i dirigenti provinciali e nazionali.
31.
Aspettativa dei lavoratori chiamati a funzioni pubbliche elettive o a ricoprire
cariche sindacali provinciali e nazionali.
32.
Permessi ai lavoratori chiamati a funzioni pubbliche elettive.
33.
Collocamento.
34.
Richieste nominative di manodopera.
35.
Campo di applicazione.
36.
Obblighi dei titolari di benefici accordati dallo Stato e degli appaltatori di
opere pubbliche.
37.
Applicazione ai dipendenti da enti pubblici.
38.
Disposizioni penali.
39.
Versamento delle ammende al Fondo adeguamento pensioni.
40.
Abrogazione delle disposizioni contrastanti.
41.
Esenzioni fiscali.
Con
riferimento al presente provvedimento sono state emanate le seguenti circolari:
-
I.N.P.D.A.P. (Istituto nazionale previdenza dipendenti amministrazione
pubblica): Circ. 14 marzo 1997, n. 17; Circ. 19 maggio 1997, n. 26;
-
I.N.P.S. (Istituto nazionale previdenza sociale): Circ. 12 aprile 1996, n. 86;
Circ. 29 luglio 1996, n. 157; Circ. 14 novembre 1996, n. 220; Circ. 20 novembre
1996, n. 225; Circ. 23 gennaio 1997, n. 14; Circ. 8 gennaio 1998, n. 3; Circ.
30 gennaio 1998, n. 22; Circ. 5 marzo 1998, n. 51; Circ. 15 maggio 1998, n.
105; Circ. 7 luglio 1998, n. 147; Circ. 2 settembre 1998, n. 197; Circ. 22
ottobre 1998, n. 221; Circ. 3 febbraio 2000, n. 22; Circ. 20 marzo 2000, n. 63;
-
Ministero dei lavori pubblici: Circ. 25 marzo 1996, n. 1195;
-
Ministero del lavoro e della previdenza sociale: Circ. 4 dicembre 1996, n.
162/96; Circ. 23 gennaio 1998, n. 12/98;
-
Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Nota 20 febbraio 2002,
n. 74/Ris;
-
Ministero della pubblica istruzione: Circ. 16 gennaio 1996, n. 21; Circ. 31
maggio 1996, n. 211; Circ. 30 dicembre 1996, n. 783; Circ. 25 maggio 1998, n.
246;
-
Ministero per i beni culturali e ambientali: Circ. 5 febbraio 1997, n. 32;
Circ. 8 maggio 1997, n. 109;
-
Presidenza del Consiglio dei Ministri: Dipartimento per la funzione pubblica e
gli affari regionali: Circ. 29 gennaio 1996, n. 25690; Circ. 4 marzo 1996, n.
26702; Circ. 12 aprile 1996, n. 26857; Circ. 17 maggio 1996, n. 30775; Circ. 17
maggio 1996, n. 29002; Circ. 10 giugno 1996, n. 29906; Circ. 12 luglio 1996, n.
30579; Circ. 3 agosto 1996, n. 996; Circ. 2 ottobre 1996, n. 5384; Circ. 22
ottobre 1996, n. 4307; Circ. 22 novembre 1996, n. 6674;
-
Ragioneria generale dello Stato: Circ. 9 maggio 1996, n. 38;
-
Ufficio italiano Cambi: Circ. 23 aprile 1997, n. 373; Circ. 22 luglio 1997, n.
391.
TITOLO
I
Della
libertà e dignità del lavoratore
1.
Libertà di opinione.
I
lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede
religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di
manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della
Costituzione e delle norme della presente legge.
2.
Guardie giurate.
Il
datore di lavoro può impiegare le guardie particolari giurate, di cui agli
articoli 133 e seguenti del testo unico approvato con regio decreto 18 giugno
1931, numero 773, soltanto per scopi di tutela del patrimonio aziendale.
Le
guardie giurate non possono contestare ai lavoratori azioni o fatti diversi da
quelli che attengono alla tutela del patrimonio aziendale.
È
fatto divieto al datore di lavoro di adibire alla vigilanza sull'attività lavorativa
le guardie di cui al primo comma, le quali non possono accedere nei locali dove
si svolge tale attività, durante lo svolgimento della stessa, se non
eccezionalmente per specifiche e motivate esigenze attinenti ai compiti di cui
al primo comma.
In
caso di inosservanza da parte di una guardia particolare giurata delle
disposizioni di cui al presente articolo, l'Ispettorato del lavoro ne promuove
presso il questore la sospensione dal servizio, salvo il provvedimento di
revoca della licenza da parte del prefetto nei casi più gravi.
3.
Personale di vigilanza.
I
nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza
dell'attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati.
4.
Impianti audiovisivi.
È
vietato l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità
di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori.
Gli
impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze
organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali
derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei
lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le
rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la
commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro,
provvede l'Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l'uso
di tali impianti.
Per
gli impianti e le apparecchiature esistenti, che rispondano alle
caratteristiche di cui al secondo comma del presente articolo, in mancanza di
accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o con la commissione interna,
l'Ispettorato del lavoro provvede entro un anno dall'entrata in vigore della
presente legge, dettando all'occorrenza le prescrizioni per l'adeguamento e le
modalità di uso degli impianti suddetti.
Contro
i provvedimenti dell'Ispettorato del lavoro, di cui ai precedenti secondo e
terzo comma, il datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali o, in
mancanza di queste, la commissione interna, oppure i sindacati dei lavoratori
di cui al successivo art. 19 possono ricorrere, entro 30 giorni dalla
comunicazione del provvedimento, al Ministro per il lavoro e la previdenza
sociale.
5.
Accertamenti sanitari.
Sono
vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità
per malattia o infortunio del lavoratore dipendente.
Il
controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso
i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono
tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda.
Il
datore di lavoro ha facoltà di far controllare la idoneità fisica del
lavoratore da parte di enti pubblici ed istituti specializzati di diritto
pubblico.
6.
Visite personali di controllo.
Le
visite personali di controllo sul lavoratore sono vietate fuorché nei casi in
cui siano indispensabili ai fini della tutela del patrimonio aziendale, in
relazione alla qualità degli strumenti di lavoro o delle materie prime o dei
prodotti.
In
tali casi le visite personali potranno essere effettuate soltanto a condizione
che siano eseguite all'uscita dei luoghi di lavoro, che siano salvaguardate la
dignità e la riservatezza del lavoratore e che avvengano con l'applicazione di
sistemi di selezione automatica riferiti alla collettività o a gruppi di
lavoratori.
Le
ipotesi nelle quali possono essere disposte le visite personali, nonché, ferme
restando le condizioni di cui al secondo comma del presente articolo, le
relative modalità debbono essere concordate dal datore di lavoro con le
rappresentanze sindacali aziendali oppure, in mancanza di queste, con la
commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro,
provvede l'Ispettorato del lavoro.
Contro
i provvedimenti dell'Ispettorato del lavoro di cui al precedente comma, il
datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di
queste, la commissione interna, oppure i sindacati dei lavoratori di cui al
successivo articolo 19 possono ricorrere, entro 30 giorni dalla comunicazione
del provvedimento, al Ministro per il lavoro e la previdenza sociale.
7.
Sanzioni disciplinari.
Le
norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle
quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione
delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante
affissione in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto in
materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano (1).
Il
datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei
confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l'addebito e
senza averlo sentito a sua difesa (1) (2/cost).
Il
lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell'associazione
sindacale cui aderisce o conferisce mandato (1) (2/cost).
Fermo
restando quanto disposto dalla legge 15 luglio 1966, n. 604 (2/b), non possono
essere disposte sanzioni disciplinari che comportino mutamenti definitivi del
rapporto di lavoro; inoltre la multa non può essere disposta per un importo
superiore a quattro ore della retribuzione base e la sospensione dal servizio e
dalla retribuzione per più di dieci giorni.
In
ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non
possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla
contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa.
Salvo
analoghe procedure previste dai contratti collettivi di lavoro e ferma restando
la facoltà di adire l'autorità giudiziaria, il lavoratore al quale sia stata
applicata una sanzione disciplinare può promuovere, nei venti giorni
successivi, anche per mezzo dell'associazione alla quale sia iscritto ovvero
conferisca mandato, la costituzione, tramite l'ufficio provinciale del lavoro e
della massima occupazione, di un collegio di conciliazione ed arbitrato,
composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro
scelto di comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dal direttore
dell'ufficio del lavoro. La sanzione disciplinare resta sospesa fino alla
pronuncia da parte del collegio.
Qualora
il datore di lavoro non provveda, entro dieci giorni dall'invito rivoltogli
dall'ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresentante in seno al
collegio di cui al comma precedente, la sanzione disciplinare non ha effetto.
Se il datore di lavoro adisce l'autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare
resta sospesa fino alla definizione del giudizio.
Non
può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni
dalla loro applicazione.
(1)
Con sentenza 29-30 novembre 1982, n. 204 (Gazz. Uff. 9 dicembre 1982, n. 338),
la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 7, commi primo,
secondo e terzo, interpretati nel senso che siano inapplicabili ai
licenziamenti disciplinari, per i quali detti commi non siano espressamente
richiamati dalla normativa legislativa, collettiva o validamente posta dal
datore di lavoro.
(2/cost)
La Corte costituzionale con sentenza 18-26 maggio 1995, n. 193 (Gazz. Uff. 31
maggio 1995, n. 23, serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione
di legittimità costituzionale degli artt. 7, secondo e terzo comma, e 35,
sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
(1)
Con sentenza 29-30 novembre 1982, n. 204 (Gazz. Uff. 9 dicembre 1982, n. 338),
la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 7, commi primo,
secondo e terzo, interpretati nel senso che siano inapplicabili ai
licenziamenti disciplinari, per i quali detti commi non siano espressamente
richiamati dalla normativa legislativa, collettiva o validamente posta dal
datore di lavoro.
(2/cost)
La Corte costituzionale con sentenza 18-26 maggio 1995, n. 193 (Gazz. Uff. 31
maggio 1995, n. 23, serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione
di legittimità costituzionale degli artt. 7, secondo e terzo comma, e 35,
sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
(2/b)
La stessa Corte, con sentenza 18-25 luglio 1989, n. 427 (Gazz. Uff. 2 agosto
1989, n. 31, Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 7, commi
secondo e terzo, nella parte in cui è esclusa la loro applicabilità al
licenziamento per motivi disciplinari irrogato da imprenditore che abbia meno
di sedici dipendenti.
8.
Divieto di indagini sulle opinioni.
-
È fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell'assunzione, come nel corso
dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo
di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore,
nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell'attitudine
professionale del lavoratore.
9.
Tutela della salute e dell'integrità fisica.
I
lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare
l'applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie
professionali e di promuovere la ricerca, l'elaborazione e l'attuazione di
tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica.
10.
Lavoratori studenti.
I
lavoratori studenti, iscritti e frequentanti corsi regolari di studio in scuole
di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali,
pareggiate o legalmente riconosciute o comunque abilitate al rilascio di titoli
di studio legali, hanno diritto a turni di lavoro che agevolino la frequenza ai
corsi e la preparazione agli esami e non sono obbligati a prestazioni di lavoro
straordinario o durante i riposi settimanali.
I
lavoratori studenti, compresi quelli universitari, che devono sostenere prove
di esame, hanno diritto a fruire di permessi giornalieri retribuiti.
Il
datore di lavoro potrà richiedere la produzione delle certificazioni necessarie
all'esercizio dei diritti di cui al primo e secondo comma.
11.
Attività culturali, ricreative e assistenziali e controlli sul servizio di
mensa (2/c).
Le
attività culturali, ricreative ed assistenziali promosse nell'azienda sono
gestite da organismi formati a maggioranza dai rappresentanti dei lavoratori.
Le
rappresentanze sindacali aziendali, costituite a norma dell'art. 19, hanno
diritto di controllare la qualità del servizio di mensa secondo modalità
stabilite dalla contrattazione collettiva (3).
(2/c)
Rubrica così modificata dall'art. 6, D.L. 11 luglio 1992, n. 333.
(3)
Comma aggiunto dall'art. 6, D.L. 11 luglio 1992, n. 333.
12.
Istituti di patronato.
Gli
istituti di patronato e di assistenza sociale, riconosciuti dal Ministero del
lavoro e della previdenza sociale, per l'adempimento dei compiti di cui al D.Lgs.C.P.S.
29 luglio 1947, n. 804, hanno diritto di svolgere, su un piano di parità, la
loro attività all'interno dell'azienda, secondo le modalità da stabilirsi con accordi
aziendali.
13.
Mansioni del lavoratore.
L'articolo
2103 del codice civile è sostituito dal seguente:
"Il
prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato
assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia
successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime
effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di
assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento
corrispondente all'attività svolta, e l'assegnazione stessa diviene definitiva,
ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con
diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti
collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. Egli non può essere trasferito
da una unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche,
organizzative e produttive.
Ogni
patto contrario è nullo".
TITOLO
II
Della
libertà sindacale
14.
Diritto di associazione e di attività sindacale.
Il
diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività
sindacale, è garantito a tutti i lavoratori all'interno dei luoghi di lavoro.
15.
Atti discriminatori.
È
nullo qualsiasi patto od atto diretto a:
a)
subordinare l'occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non
aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte;
b)
licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o
mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti
pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della
sua partecipazione ad uno sciopero.
Le
disposizioni di cui al comma precedente si applicano altresì ai patti o atti
diretti a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di
sesso (3).
(3)
Comma così sostituito dall'art. 13, L. 9 dicembre 1977, n. 903.
16.
Trattamenti economici collettivi discriminatori.
È
vietata la concessione di trattamenti economici di maggior favore aventi
carattere discriminatorio a mente dell'articolo 15.
Il
pretore, su domanda dei lavoratori nei cui confronti è stata attuata la
discriminazione di cui al comma precedente o delle associazioni sindacali alle
quali questi hanno dato mandato, accertati i fatti, condanna il datore di
lavoro al pagamento, a favore del fondo adeguamento pensioni, di una somma pari
all'importo dei trattamenti economici di maggior favore illegittimamente
corrisposti nel periodo massimo di un anno.
17.
Sindacati di comodo.
È
fatto divieto ai datori di lavoro ed alle associazioni di datori di lavoro di
costituire o sostenere, con mezzi finanziari o altrimenti, associazioni
sindacali di lavoratori.
18.
Reintegrazione nel posto di lavoro.
Ferme
restando l'esperibilità delle procedure previste dall'articolo 7 della legge 15
luglio 1966, n. 604, il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il
licenziamento ai sensi dell'articolo 2 della predetta legge o annulla il
licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne
dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore
e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o
reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue
dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di
imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Tali
disposizioni si applicano altresì ai datori di lavoro, imprenditori e non
imprenditori, che nell'ambito dello stesso comune occupano più di quindici
dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale
occupano più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva,
singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore
di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più di
sessanta prestatori di lavoro (3/c).
Ai
fini del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui primo comma si
tiene conto anche dei lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro,
dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale, per la
quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il
computo delle unità lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla
contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge ed i parenti
del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea
collaterale (3/d).
Il
computo dei limiti occupazionali di cui al secondo comma non incide su norme o
istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie (3/e).
Il
giudice con la sentenza di cui al primo comma condanna il datore di lavoro al
risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia
stata accertata l'inefficacia o l'invalidità stabilendo un'indennità
commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento
sino a quello dell'effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi
assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento
dell'effettiva reintegrazione; in ogni caso la misura del risarcimento non
potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto
(3/f).
Fermo
restando il diritto al risarcimento del danno così come previsto al quarto
comma, al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di
lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità
pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il
lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro
non abbia ripreso il servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla
comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell'indennità di cui al
presente comma, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei
termini predetti (3/g) (1/cost).
La
sentenza pronunciata nel giudizio di cui al primo comma è provvisoriamente
esecutiva.
Nell'ipotesi
di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, su istanza congiunta
del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il
giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con
ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova
forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di
lavoro.
L'ordinanza
di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al
giudice medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le disposizioni
dell'articolo 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di procedura
civile.
L'ordinanza
può essere revocata con la sentenza che decide la causa.
Nell'ipotesi
di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, il datore di lavoro che
non ottempera alla sentenza di cui al primo comma ovvero all'ordinanza di cui
al quarto comma, non impugnata o confermata dal giudice che l'ha pronunciata, è
tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo
adeguamento pensioni di una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al
lavoratore (8/cost).
(3/c)
I primi cinque commi hanno così sostituito i commi primo e secondo per effetto
dell'art. 1, L. 11 maggio 1990, n. 108. Successivamente, la Corte
costituzionale, con sentenza 30 gennaio-6 febbraio 2003, n. 41 (Gazz. Uff. 11
febbraio 2003, ediz. straord. - Prima serie speciale), ha dichiarato
ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti
indicate nella stessa sentenza: dell'art. 18, commi primo, secondo e terzo,
della legge 20 maggio 1970, n. 300, nel testo risultante dalle modifiche
apportate dall'art. 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108; degli artt. 2, comma
1, e 4, comma 1, secondo periodo, della legge n. 108 del 1990; dell'art. 8
della legge 15 luglio 1966, n. 604; nel testo sostituito dall'art. 2, comma 3,
della legge n. 108 del 1990; richiesta dichiarata legittima, con ordinanza del
9 dicembre 1992, dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la
Corte di cassazione. Il referendum popolare per l'abrogazione delle suddette
norme è stato indetto con D.P.R. 9 aprile 2003 (Gazz. Uff. 11 aprile 2003, n.
85), corretto con Comunicato 9 maggio 2003 (Gazz. Uff. 9 maggio 2003, n. 106).
(3/d)
I primi cinque commi hanno così sostituito i commi primo e secondo per effetto
dell'art. 1, L. 11 maggio 1990, n. 108. Successivamente, la Corte
costituzionale, con sentenza 30 gennaio-6 febbraio 2003, n. 41 (Gazz. Uff. 11
febbraio 2003, ediz. straord. - Prima serie speciale), ha dichiarato
ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti
indicate nella stessa sentenza: dell'art. 18, commi primo, secondo e terzo,
della legge 20 maggio 1970, n. 300, nel testo risultante dalle modifiche
apportate dall'art. 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108; degli artt. 2, comma
1, e 4, comma 1, secondo periodo, della legge n. 108 del 1990; dell'art. 8
della legge 15 luglio 1966, n. 604; nel testo sostituito dall'art. 2, comma 3,
della legge n. 108 del 1990; richiesta dichiarata legittima, con ordinanza del
9 dicembre 1992, dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la
Corte di cassazione. Il referendum popolare per l'abrogazione delle suddette
norme è stato indetto con D.P.R. 9 aprile 2003 (Gazz. Uff. 11 aprile 2003, n.
85), corretto con Comunicato 9 maggio 2003 (Gazz. Uff. 9 maggio 2003, n. 106).
(3/e)
I primi cinque commi hanno così sostituito i commi primo e secondo per effetto
dell'art. 1, L. 11 maggio 1990, n. 108. Successivamente, la Corte
costituzionale, con sentenza 30 gennaio-6 febbraio 2003, n. 41 (Gazz. Uff. 11
febbraio 2003, ediz. straord. - Prima serie speciale), ha dichiarato
ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti
indicate nella stessa sentenza: dell'art. 18, commi primo, secondo e terzo,
della legge 20 maggio 1970, n. 300, nel testo risultante dalle modifiche
apportate dall'art. 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108; degli artt. 2, comma
1, e 4, comma 1, secondo periodo, della legge n. 108 del 1990; dell'art. 8
della legge 15 luglio 1966, n. 604; nel testo sostituito dall'art. 2, comma 3,
della legge n. 108 del 1990; richiesta dichiarata legittima, con ordinanza del
9 dicembre 1992, dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la
Corte di cassazione. Il referendum popolare per l'abrogazione delle suddette
norme è stato indetto con D.P.R. 9 aprile 2003 (Gazz. Uff. 11 aprile 2003, n.
85), corretto con Comunicato 9 maggio 2003 (Gazz. Uff. 9 maggio 2003, n. 106).
(3/f)
I primi cinque commi hanno così sostituito i commi primo e secondo per effetto
dell'art. 1, L. 11 maggio 1990, n. 108.
(3/g)
I primi cinque commi hanno così sostituito i commi primo e secondo per effetto
dell'art. 1, L. 11 maggio 1990, n. 108.
(1/cost)
La Corte costituzionale, con ordinanza 7-15 marzo 1996, n. 77 (Gazz. Uff. 20
marzo 1996, n. 12, Serie speciale) e con ordinanza 11-22 luglio 1996, n. 291
(Gazz. Uff. 14 agosto 1996, n. 33, Serie speciale), ha dichiarato la manifesta
infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, quinto
comma, sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
Analoga
questione era già stata esaminata dalla stessa Corte e dichiarata non fondata
con sentenza n. 81 del 1982, seguita da due ordinanze di manifesta infodatezza,
nn. 160 e 427 del 1962. Le ragioni addotte nell'attuale ordinanza di rimessione
non hanno indotto la Corte a mutare giurisprudenza.
(8/cost)
La Corte costituzionale, con sentenza 14-23 dicembre 1998, n. 420 (Gazz. Uff.
30 dicembre 1998, n. 52, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione
di legittimità costituzionale dell'art. 18, sollevata in riferimento agli artt.
3 e 27 (recte: 24) della Costituzione.
TITOLO
III
Dell'attività
sindacale
19.
Costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali.
Rappresentanze
sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in
ogni unità produttiva, nell'ambito:
a)
delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative
sul piano nazionale (3/h);
b)
delle associazioni sindacali, non affiliate alle predette confederazioni, che
siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro
applicati nell'unità produttiva (3/i).
Nell'ambito
di aziende con più unità produttive le rappresentanze sindacali possono istituire
organi di coordinamento (5/cost).
(3/h)
Con D.P.R. 28 luglio 1995, n. 312 (Gazz. Uff. 29 luglio 1995, n. 176), in esito
al referendum indetto con D.P.R. 5 aprile 1995 (Gazz. Uff. 11 aprile 1995, n.
85) è stato abrogato l'art. 19, primo comma, lettera a) nonché l'art. 19, primo
comma, lettera b), limitatamente alle parole "non affiliate alle predette
confederazioni" e alle parole "nazionali o provinciali", della
legge 20 maggio 1970, n. 300.
L'abrogazione
ha effetto decorsi sessanta giorni dalla data di pubblicazione del decreto n.
312 del 1995 nella Gazzetta Ufficiale.
(3/i)
Con D.P.R. 28 luglio 1995, n. 312 (Gazz. Uff. 29 luglio 1995, n. 176), in esito
al referendum indetto con D.P.R. 5 aprile 1995 (Gazz. Uff. 11 aprile 1995, n.
85) è stato abrogato l'art. 19, primo comma, lettera a) nonché l'art. 19, primo
comma, lettera b), limitatamente alle parole "non affiliate alle predette
confederazioni" e alle parole "nazionali o provinciali", della
legge 20 maggio 1970, n. 300.
L'abrogazione
ha effetto decorsi sessanta giorni dalla data di pubblicazione del decreto n.
312 del 1995 nella Gazzetta Ufficiale.
(5/cost)
La Corte costituzionale, con sentenza 27 giugno-12 luglio 1996, n. 244 (Gazz.
Uff. 31 luglio 1996, n. 31, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 19, nel testo risultante
dall'abrogazione parziale disposta dal D.P.R. 28 luglio 1995, n. 312, sollevata
in riferimento agli artt. 3 e 39 della Costituzione. Successivamente la stessa
Corte, con ordinanza 14-18 ottobre 1996, n. 345 (Gazz. Uff. 23 ottobre 1996, n.
43, Serie speciale), e con ordinanza 19-23 maggio 1997, n. 148 (Gazz. Uff. 28
maggio 1997, n. 22, Serie speciale) e con ordinanza 23-26 marzo 1998, n. 76
(Gazz. Uff. 1 aprile 1998, n. 13, Serie speciale), ha dichiarato la manifesta
infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 19, nel
testo risultante dall'abrogazione parziale disposta dal D.P.R. 28 luglio 1995,
n. 312, sollevate in riferimento agli artt. 2, 3 e 39 della Costituzione.
20.
Assemblea.
I
lavoratori hanno diritto di riunirsi, nella unità produttiva in cui prestano la
loro opera, fuori dell'orario di lavoro, nonché durante l'orario di lavoro, nei
limiti di dieci ore annue, per le quali verrà corrisposta la normale
retribuzione. Migliori condizioni possono essere stabilite dalla contrattazione
collettiva.
Le
riunioni - che possono riguardare la generalità dei lavoratori o gruppi di essi
- sono indette, singolarmente o congiuntamente, dalle rappresentanze sindacali
aziendali nell'unità produttiva, con ordine del giorno su materie di interesse
sindacale e del lavoro e secondo l'ordine di precedenza delle convocazioni,
comunicate al datore di lavoro.
Alle
riunioni possono partecipare, previo preavviso al datore di lavoro, dirigenti
esterni del sindacato che ha costituito la rappresentanza sindacale aziendale.
Ulteriori
modalità per l'esercizio del diritto di assemblea possono essere stabilite dai
contratti collettivi di lavoro, anche aziendali (3/cost).
(3/cost)
La Corte costituzionale con ordinanza 15-16 maggio 1995, n. 170 (Gazz. Uff. 24
maggio 1995, n. 22, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza
della questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, sollevata, in
riferimento agli artt. 3, 18, 21, 39 e 41 della Costituzione, e già dichiarata
non fondata dalla Corte con le sentenze n. 54 del 1974, n. 334 del 1988 e n. 30
del 1990.
21.
Referendum.
Il
datore di lavoro deve consentire nell'ambito aziendale lo svolgimento, fuori
dell'orario di lavoro, di referendum, sia generali che per categoria, su
materie inerenti all'attività sindacale, indetti da tutte le rappresentanze
sindacali aziendali tra i lavoratori, con diritto di partecipazione di tutti i
lavoratori appartenenti alla unità produttiva e alla categoria particolarmente
interessata.
Ulteriori
modalità per lo svolgimento del referendum possono essere stabilite dai contratti
collettivi di lavoro anche aziendali.
22.
Trasferimento dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali.
Il
trasferimento dall'unità produttiva dei dirigenti delle rappresentanze
sindacali aziendali di cui al precedente articolo 19, dei candidati e dei
membri di commissione interna può essere disposto solo previo nulla osta delle
associazioni sindacali di appartenenza.
Le
disposizioni di cui al comma precedente ed ai commi quarto, quinto, sesto e
settimo dell'articolo 18 si applicano sino alla fine del terzo mese successivo
a quello in cui è stata eletta la commissione interna per i candidati nelle
elezioni della commissione stessa e sino alla fine dell'anno successivo a
quello in cui è cessato l'incarico per tutti gli altri.
23.
Permessi retribuiti.
I
dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali di cui all'articolo 19 hanno
diritto, per l'espletamento del loro mandato, a permessi retribuiti.
Salvo
clausole più favorevoli dei contratti collettivi di lavoro hanno diritto ai
permessi di cui al primo comma almeno:
a)
un dirigente per ciascuna rappresentanza sindacale aziendale nelle unità
produttive che occupano fino a 200 dipendenti della categoria per cui la stessa
è organizzata;
b)
un dirigente ogni 300 o frazione di 300 dipendenti per ciascuna rappresentanza
sindacale aziendale nelle unità produttive che occupano fino a 3.000 dipendenti
della categoria per cui la stessa è organizzata;
c)
un dirigente ogni 500 o frazione di 500 dipendenti della categoria per cui è
organizzata la rappresentanza sindacale aziendale nelle unità produttive di
maggiori dimensioni, in aggiunta al numero minimo di cui alla precedente
lettera b).
I
permessi retribuiti di cui al presente articolo non potranno essere inferiori a
otto ore mensili nelle aziende di cui alle lettere b) e c) del comma
precedente; nelle aziende di cui alla lettera a) i permessi retribuiti non
potranno essere inferiori ad un'ora all'anno per ciascun dipendente.
Il
lavoratore che intende esercitare il diritto di cui al primo comma deve darne
comunicazione scritta al datore di lavoro di regola 24 ore prima, tramite le
rappresentanze sindacali aziendali.
24.
Permessi non retribuiti.
I
dirigenti sindacali aziendali di cui all'articolo 23 hanno diritto a permessi
non retribuiti per la partecipazione a trattative sindacali o a congressi e
convegni di natura sindacale, in misura non inferiore a otto giorni all'anno.
I
lavoratori che intendano esercitare il diritto di cui al comma precedente
devono darne comunicazione scritta al datore di lavoro di regola tre giorni
prima, tramite le rappresentanze sindacali aziendali.
25.
Diritto di affissione.
Le
rappresentanze sindacali aziendali hanno diritto di affiggere, su appositi
spazi, che il datore di lavoro ha l'obbligo di predisporre in luoghi
accessibili a tutti i lavoratori all'interno dell'unità produttiva,
pubblicazioni, testi e comunicati inerenti a materie di interesse sindacale e
del lavoro.
26.
Contributi sindacali.
I
lavoratori hanno diritto di raccogliere contributi e di svolgere opera di
proselitismo per le loro organizzazioni sindacali all'interno dei luoghi di
lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento dell'attività aziendale.
[Le
associazioni sindacali dei lavoratori hanno diritto di percepire, tramite
ritenuta sul salario nonché sulle prestazioni erogate per conto degli enti
previdenziali, i contributi sindacali che i lavoratori intendono loro versare,
con modalità stabilite dai contratti collettivi di lavoro, che garantiscono la
segretezza del versamento effettuato dal lavoratore a ciascuna associazione
sindacale] (4) (4/a).
[Nelle
aziende nelle quali il rapporto di lavoro non è regolato da contratti
collettivi, il lavoratore ha diritto di chiedere il versamento del contributo
sindacale all'associazione da lui indicata] (4/a) (7/cost).
(4)
Comma così sostituito dall'art. 18, L. 23 luglio 1991, n. 223.
(4/a)
Il D.P.R. 28 luglio 1995, n. 313 (Gazz. Uff. 29 luglio 1995, n. 176), in esito
al referendum indetto con D.P.R. 5 aprile 1995 (Gazz. Uff. 11 aprile 1995, n.
85), ha abrogato, decorsi sessanta giorni dalla sua pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale, l'art. 26, commi secondo e terzo, L. 20 maggio 1970, n.
300.
(4/a)
Il D.P.R. 28 luglio 1995, n. 313 (Gazz. Uff. 29 luglio 1995, n. 176), in esito
al referendum indetto con D.P.R. 5 aprile 1995 (Gazz. Uff. 11 aprile 1995, n.
85), ha abrogato, decorsi sessanta giorni dalla sua pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale, l'art. 26, commi secondo e terzo, L. 20 maggio 1970, n.
300.
(7/cost)
La Corte costituzionale, con ordinanza 23-26 marzo 1998, n. 76 (Gazz. Uff. 1
aprile 1998, n. 13, Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità
delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 26, nel testo risultante
dall'abrogazione parziale dichiarata dal D.P.R. 28 luglio 1995, n. 313,
sollevate in riferimento agli artt. 3 e 39 della Costituzione.
27.
Locali delle rappresentanze sindacali aziendali.
Il
datore di lavoro nelle unità produttive con almeno 200 dipendenti pone
permanentemente a disposizione delle rappresentanze sindacali aziendali, per
l'esercizio delle loro funzioni, un idoneo locale comune all'interno dell'unità
produttiva o nelle immediate vicinanze di essa.
Nelle
unità produttive con un numero inferiore di dipendenti le rappresentanze
sindacali aziendali hanno diritto di usufruire, ove ne facciano richiesta, di
un locale idoneo per le loro riunioni.
TITOLO
IV
Disposizioni
varie e generali
28.
Repressione della condotta antisindacale.
Qualora
il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti ad impedire o
limitare l'esercizio della libertà e della attività sindacale nonché del
diritto di sciopero, su ricorso degli organismi locali delle associazioni
sindacali nazionali che vi abbiano interesse, il pretore del luogo ove è posto
in essere il comportamento denunziato, nei due giorni successivi, convocate le
parti ed assunte sommarie informazioni, qualora ritenga sussistente la
violazione di cui al presente comma, ordina al datore di lavoro, con decreto
motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento
illegittimo e la rimozione degli effetti.
L'efficacia
esecutiva del decreto non può essere revocata fino alla sentenza con cui il
pretore in funzione di giudice del lavoro definisce il giudizio instaurato a
norma del comma successivo (4/b) (6/cost).
Contro
il decreto che decide sul ricorso è ammessa, entro 15 giorni dalla
comunicazione del decreto alle parti opposizione davanti al pretore in funzione
di giudice del lavoro che decide con sentenza immediatamente esecutiva. Si
osservano le disposizioni degli articoli 413 e seguenti del codice di procedura
civile (4/c).
Il
datore di lavoro che non ottempera al decreto, di cui al primo comma, o alla
sentenza pronunciata nel giudizio di opposizione è punito ai sensi
dell'articolo 650 del codice penale.
L'autorità
giudiziaria ordina la pubblicazione della sentenza penale di condanna nei modi
stabiliti dall'articolo 36 del codice penale.
[Se
il comportamento di cui al primo comma è posto in essere da una amministrazione
statale o da un altro ente pubblico non economico, l'azione è proposta con
ricorso davanti al pretore competente per territorio] (4/d).
[Qualora
il comportamento antisindacale sia lesivo anche di situazioni soggettive
inerenti al rapporto di impiego, le organizzazioni sindacali di cui al primo
comma, ove intendano ottenere anche la rimozione dei provvedimenti lesivi delle
predette situazioni, propongono il ricorso davanti al tribunale amministrativo
regionale competente per territorio, che provvede in via di urgenza con le
modalità di cui al primo comma. Contro il decreto che decide sul ricorso è
ammessa, entro quindici giorni dalla comunicazione del decreto alle parti,
opposizione davanti allo stesso tribunale, che decide con sentenza
immediatamente esecutiva] (4/e) (4/cost).
(4/b)
Comma così sostituito dall'art. 2, L. 8 novembre 1977, n. 847 (Gazz. Uff. 28 novembre
1977, n. 324).
(6/cost)
La Corte costituzionale, con ordinanza 9-16 aprile 1998, n. 130 (Gazz. Uff. 22
aprile 1998, n. 16, Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità
della questione di legittimità costituzionale dell'art. 28, secondo comma, come
modificato dalla legge 8 novembre 1977, n. 847, sollevata in riferimento agli
artt. 25, secondo comma, 3 e 24, primo comma, della Costituzione.
(4/c)
Comma così sostituito dall'art. 3, L. 8 novembre 1977, n. 847 (Gazz. Uff. 28
novembre 1977, n. 324). Gli artt. 1 e 4 della citata legge hanno, inoltre, così
disposto:
"Art.
1. Nelle controversie previste dall'art. 28 della L. 20 maggio 1970, n. 300,
ferme restando tutte le norme del procedimento speciale, si osservano, in
quanto applicabili, le disposizioni della L. 11 agosto 1973, n. 533.
Art.
4. I procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge
sono definiti, secondo le disposizioni degli articoli 413 e seguenti del codice
di procedura civile, dal giudice del lavoro presso l'ufficio che ne conosceva
in base alle norme di competenza anteriormente in vigore.
L'appello
contro la sentenza pronunciata dal tribunale a seguito di opposizione già
prevista nel terzo comma dell'art. 28 della L. 20 maggio 1970, n. 300, si
propone alla Corte d'appello, secondo le norme di cui alla L. 11 agosto 1973,
n. 533".
(4/d)
Comma aggiunto dall'art. 6, L. 12 giugno 1990, n. 146, e poi abrogato dall'art.
4, L. 11 aprile 2000, n. 83.
(4/e)
Comma aggiunto dall'art. 6, L. 12 giugno 1990, n. 146, e poi abrogato dall'art.
4, L. 11 aprile 2000, n. 83.
(4/cost)
La Corte costituzionale, con sentenza 8-17 marzo 1995, n. 89 (Gazz. Uff. 22
marzo 1995, n. 12, Serie Speciale), ha dichiarato non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 28, sollevata in riferimento agli artt. 2,
3, 18, 21, 24, 35 e 39, primo comma, della Costituzione. Successivamente la
stessa Corte, con ordinanza 13-21 novembre 1997, n. 356 (Gazz. Uff. 26 novembre
1997, n. 48, Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della
questione di legittimità costituzionale dell'art. 28, ultimo comma, come
novellato dall'art. 6 della legge 12 giugno 1990, n. 146, sollevata in
riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
29.
Fusione delle rappresentanze sindacali aziendali.
Quando
le rappresentanze sindacali aziendali di cui all'articolo 19 si siano
costituite nell'ambito di due o più delle associazioni di cui alle lettere a) e
b) del primo comma dell'articolo predetto, nonché nella ipotesi di fusione di
più rappresentanze sindacali, i limiti numerici stabiliti dall'articolo 23,
secondo comma, si intendono riferiti a ciascuna delle associazioni sindacali
unitariamente rappresentate nella unità produttiva.
Quando
la formazione di rappresentanze sindacali unitarie consegua alla fusione delle
associazioni di cui alle lettere a) e b) del primo comma dell'articolo 19, i
limiti numerici della tutela accordata ai dirigenti di rappresentanze sindacali
aziendali, stabiliti in applicazione dell'articolo 23, secondo comma, ovvero
del primo comma del presente articolo restano immutati.
30.
Permessi per i dirigenti provinciali e nazionali.
I
componenti degli organi direttivi, provinciali e nazionali, delle associazioni
di cui all'articolo 19 hanno diritto a permessi retribuiti, secondo le norme
dei contratti di lavoro, per la partecipazione alle riunioni degli organi
suddetti.
31.
Aspettativa dei lavoratori chiamati a funzioni pubbliche elettive o a ricoprire
cariche sindacali provinciali e nazionali.
I
lavoratori che siano eletti membri del Parlamento nazionale o del Parlamento
europeo o di assemblee regionali ovvero siano chiamati ad altre funzioni
pubbliche elettive possono, a richiesta, essere collocati in aspettativa non
retribuita, per tutta la durata del loro mandato (4/f).
La
medesima disposizione si applica ai lavoratori chiamati a ricoprire cariche
sindacali provinciali e nazionali.
I
periodi di aspettativa di cui ai precedenti commi sono considerati utili, a
richiesta dell'interessato, ai fini del riconoscimento del diritto e della
determinazione della misura della pensione a carico dell'assicurazione generale
obbligatoria di cui al R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, e successive modifiche
ed integrazioni, nonché a carico di enti, fondi, casse e gestioni per forme
obbligatorie di previdenza sostitutive della assicurazione predetta, o che ne
comportino comunque l'esonero.
Durante
i periodi di aspettativa l'interessato, in caso di malattia, conserva il
diritto alle prestazioni a carico dei competenti enti preposti alla erogazione
delle prestazioni medesime.
Le
disposizioni di cui al terzo e al quarto comma non si applicano qualora a
favore dei lavoratori siano previste forme previdenziali per il trattamento di
pensione e per malattia, in relazione all'attività espletata durante il periodo
di aspettativa (5/a) (9/cost).
(4/f)
Comma così sostituito dall'art. 2, L. 13 agosto 1979, n. 384.
(5/a)
Vedi, anche, l'art. 16-ter, D.L. 2 marzo 1974, n. 30. L'articolo unico, L. 9
maggio 1977, n. 210 (Gazz. Uff. 21 maggio 1977, n. 137) ha così disposto:
"Articolo
unico. - Le limitazioni previste dall'ultimo comma dell'art. 31 della L. 20
maggio 1970, n. 300, si applicano ai lavoratori che durante il periodo di
aspettativa esplicano attività lavorativa che comporti forme di tutela
previdenziale a carico dell'assicurazione generale obbligatoria di cui al
R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, e successive modificazioni ed integrazioni,
ovvero a carico di fondi sostitutivi, esclusivi o esonerativi
dell'assicurazione predetta". Vedi, inoltre, l'art. 22, L. 23 dicembre
1994, n. 724 e l'art. 3, D.Lgs. 16 settembre 1996, n. 564.
(9/cost)
La Corte costituzionale, con ordinanza 22 aprile-3 maggio 2002, n. 149 (Gazz.
Uff. 8 maggio 2002, n. 18, serie speciale), ha dichiarato la manifesta
infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 31, 37 e
40 sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
32.
Permessi ai lavoratori chiamati a funzioni pubbliche elettive.
I
lavoratori eletti alla carica di consigliere comunale o provinciale che non
chiedano di essere collocati in aspettativa sono, a loro richiesta, autorizzati
ad assentarsi dal servizio per il tempo strettamente necessario
all'espletamento del mandato, senza alcuna decurtazione della retribuzione.
I
lavoratori eletti alla carica di sindaco o di assessore comunale, ovvero di
presidente di giunta provinciale o di assessore provinciale hanno diritto anche
a permessi non retribuiti per un minimo di trenta ore mensili (5/b).
(5/b)
Vedi l'art. 28, L. 27 dicembre 1985, n. 816.
TITOLO
V
Norme
sul collocamento
33.
Collocamento.
[La
commissione per il collocamento, di cui all'articolo 26 della legge 29 aprile
1949, n. 264, è costituita obbligatoriamente presso le sezioni zonali, comunali
e frazionali degli Uffici provinciali del lavoro e della massima occupazione,
quando ne facciano richiesta le organizzazioni sindacali dei lavoratori più
rappresentative.
Alla
nomina della commissione provvede il direttore dell'Ufficio provinciale del
lavoro e della massima occupazione, il quale, nel richiedere la designazione
dei rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, tiene conto del grado
di rappresentatività delle organizzazioni sindacali e assegna loro un termine
di 15 giorni, decorso il quale provvede d'ufficio.
La
commissione è presieduta dal dirigente della sezione zonale, comunale,
frazionale, ovvero da un suo delegato, e delibera a maggioranza dei presenti.
In caso di parità prevale il voto del presidente.
La
commissione ha il compito di stabilire e di aggiornare periodicamente la
graduatoria delle precedenze per l'avviamento al lavoro, secondo i criteri di
cui al quarto comma dell'articolo 15 della legge 29 aprile 1949, n. 264 (5/d).
Salvo
il caso nel quale sia ammessa la richiesta nominativa, la sezione di
collocamento, nella scelta del lavoratore da avviare al lavoro, deve
uniformarsi alla graduatoria di cui al comma precedente, che deve essere
esposta al pubblico presso la sezione medesima e deve essere aggiornata ad ogni
chiusura dell'ufficio con la indicazione degli avviati.
Devono
altresì essere esposte al pubblico le richieste numeriche che pervengono dalle
ditte.
La
commissione ha anche il compito di rilasciare il nulla osta per l'avviamento al
lavoro ad accoglimento di richieste nominative o di quelle di ogni altro tipo
che siano disposte dalle leggi o dai contratti di lavoro. Nei casi di motivata
urgenza, l'avviamento è provvisoriamente autorizzato dalla sezione di
collocamento e deve essere convalidato dalla commissione di cui al primo comma
del presente articolo, entro dieci giorni. Dei dinieghi di avviamento al lavoro
per richiesta nominativa deve essere data motivazione scritta su apposito
verbale in duplice copia, una da tenere presso la sezione di collocamento e l'altra
presso il direttore dell'Ufficio provinciale del lavoro. Tale motivazione
scritta deve essere immediatamente trasmessa al datore di lavoro richiedente.
Nel
caso in cui la commissione neghi la convalida ovvero non si pronunci entro
venti giorni dalla data della comunicazione di avviamento, gli interessati
possono inoltrare ricorso al direttore dell'Ufficio provinciale del lavoro, il
quale decide in via definitiva, su conforme parere della commissione di cui
all'articolo 25 della legge 29 aprile 1949, n. 264 (6).
I
turni di lavoro di cui all'articolo 16 della legge 29 aprile 1949, n. 264 (6),
sono stabiliti dalla commissione e in nessun caso possono essere modificati
dalla sezione.
Il
direttore dell'Ufficio provinciale del lavoro annulla d'ufficio i provvedimenti
di avviamento e di diniego di avviamento al lavoro in contrasto con le
disposizioni di legge. Contro le decisioni del direttore dell'ufficio
provinciale del lavoro è ammesso ricorso al Ministro per il lavoro e la
previdenza sociale.
Per
il passaggio del lavoratore dall'azienda nella quale è occupato ad un'altra
occorre il nulla osta della sezione di collocamento competente.
Ai
datori di lavoro che non assumono i lavoratori per il tramite degli uffici di
collocamento, sono applicate le sanzioni previste dall'articolo 38 della
presente legge.
Le
norme contenute nella legge 29 aprile 1949, n. 264 (6), rimangono in vigore in
quanto non modificate dalla presente legge (6/a)] (6/b).
(5/d)
Vedi il D.M. 19 maggio 1973.
(6)
Vedi il D.M. 19 maggio 1973.
(6)
Vedi il D.M. 19 maggio 1973.
(6)
Vedi il D.M. 19 maggio 1973.
(6/a)
Vedi l'art. 1, L. 28 febbraio 1987, n. 56.
(6/b)
Articolo abrogato dall'art. 8, D.Lgs. 19 dicembre 2002, n. 297.
34.
Richieste nominative di manodopera.
[A
decorrere dal novantesimo giorno dall'entrata in vigore della presente legge, le
richieste nominative di manodopera da avviare al lavoro sono ammesse
esclusivamente per i componenti del nucleo familiare del datore di lavoro, per
i lavoratori di concetto e per gli appartenenti a ristrette categorie di
lavoratori altamente specializzati, da stabilirsi con decreto del Ministro per
il lavoro e la previdenza sociale, sentita la commissione centrale di cui alla
legge 29 aprile 1949, n. 264 (6)] (6/c).
(6)
Vedi il D.M. 19 maggio 1973.
(6/c)
Articolo abrogato dall'art. 8, D.Lgs. 19 dicembre 2002, n. 297.
TITOLO
VI
Disposizioni
finali e penali
35.
Campo di applicazione.
Per
le imprese industriali e commerciali, le disposizioni del titolo III, ad
eccezione del primo comma dell'articolo 27, della presente legge si applicano a
ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo che occupa più
di quindici dipendenti. Le stesse disposizioni si applicano alle imprese
agricole che occupano più di cinque dipendenti (7).
Le
norme suddette si applicano, altresì, alle imprese industriali e commerciali
che nell'ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle
imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque
dipendenti anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non
raggiunge tali limiti.
Ferme
restando le norme di cui agli articoli 1, 8, 9, 14, 15, 16 e 17, i contratti
collettivi di lavoro provvedono ad applicare i principi di cui alla presente
legge alle imprese di navigazione per il personale navigante (2/cost) (8).
(7)
Comma modificato dall'art. 6, L. 11 maggio 1990, n. 108.
(2/cost)
La Corte costituzionale con sentenza 18-26 maggio 1995, n. 193 (Gazz. Uff. 31
maggio 1995, n. 23, serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione
di legittimità costituzionale degli artt. 7, secondo e terzo comma, e 35,
sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
(8)
La Corte costituzionale, con sentenza 26 marzo 1987, n. 96 (Gazz. Uff. 8 aprile
1987, n. 15 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 10 della
L. 15 luglio 1966, n. 604, nella parte in cui non prevede l'applicabilità della
legge stessa al personale marittimo navigante delle imprese di navigazione;
nonché l'illegittimità dell'art. 35, terzo comma, della L. 20 maggio 1970, n.
300, nella parte in cui non prevede la diretta applicabilità al predetto personale
anche dell'art. 18 della stessa legge; con sentenza 17-31 gennaio 1991, n. 41
(Gazz. Uff. 6 febbraio 1991, n. 6 - Serie speciale), ha dichiarato
l'illegittimità dell'art. 35, terzo comma, nella parte in cui non prevede la
diretta applicabilità al personale navigante delle imprese di navigazione aerea
anche dell'art. 18 della stessa legge n. 300 del 1970, come modificato
dall'art. 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108; con sentenza 11-23 luglio 1991,
n. 364 (Gazz. Uff. 31 luglio 1991, n. 30 - Serie speciale), ha dichiarato
l'illegittimità dell'art. 35, terzo comma, nella parte in cui non prevede la
diretta applicabilità al personale navigante delle Imprese di navigazione dei
commi 1, 2 e 3 dell'art. 7 della legge n. 300 del 1970; con sentenza 30
gennaio-6 febbraio 2003, n. 45 (Gazz. Uff. 11 febbraio 2003 ediz. straord. -
Prima serie speciale), ha dichiarato inamissibile la richiesta di referendum
popolare per l'abrogazione del presente articolo 35, così come modificato
dall'art. 6, comma 1, della legge 11 maggio 1990, n. 108; richiesta dichiarata
legittima dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di
cassazione con l'ordinanza del 9 dicembre 2002.
36.
Obblighi dei titolari di benefici accordati dallo Stato e degli appaltatori di
opere pubbliche.
Nei
provvedimenti di concessione di benefici accordati ai sensi delle vigenti leggi
dallo Stato a favore di imprenditori che esercitano professionalmente
un'attività economica organizzata e nei capitolati di appalto attinenti
all'esecuzione di opere pubbliche, deve essere inserita la clausola esplicita
determinante l'obbligo per il beneficiario o appaltatore di applicare o di far
applicare nei confronti dei lavoratori dipendenti condizioni non inferiori a
quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della
zona.
Tale
obbligo deve essere osservato sia nella fase di realizzazione degli impianti o
delle opere che in quella successiva, per tutto il tempo in cui l'imprenditore
beneficia delle agevolazioni finanziarie e creditizie concesse dallo Stato ai
sensi delle vigenti disposizioni di legge.
Ogni
infrazione al suddetto obbligo che sia accertata dall'Ispettorato del lavoro
viene comunicata immediatamente ai Ministri nella cui amministrazione sia stata
disposta la concessione del beneficio o dell'appalto. Questi adotteranno le
opportune determinazioni, fino alla revoca del beneficio, e nei casi più gravi
o nel caso di recidiva potranno decidere l'esclusione del responsabile, per un
tempo fino a cinque anni, da qualsiasi ulteriore concessione di agevolazioni
finanziarie o creditizie ovvero da qualsiasi appalto.
Le
disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche quando si tratti di
agevolazioni finanziarie e creditizie ovvero di appalti concessi da enti
pubblici, ai quali l'Ispettorato del lavoro comunica direttamente le infrazioni
per l'adozione delle sanzioni (8/a).
(8/a)
La Corte costituzionale, con sentenza 1-19 giugno 1998, n. 226 (Gazz. Uff. 24
giugno 1998, n. 25 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità del
presente articolo, nella parte in cui non prevede che, nelle concessioni di
pubblico servizio, deve essere inserita la clausola esplicita determinante
l'obbligo per il concessionario di applicare o di far applicare nei confronti
dei lavoratori dipendenti condizioni non inferiori a quelle risultanti dai
contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona.
37.
Applicazione ai dipendenti da enti pubblici.
Le
disposizioni della presente legge si applicano anche ai rapporti di lavoro e di
impiego dei dipendenti da enti pubblici che svolgano esclusivamente o
prevalentemente attività economica. Le disposizioni della presente legge si
applicano altresì ai rapporti di impiego dei dipendenti dagli altri enti
pubblici, salvo che la materia sia diversamente regolata da norme speciali
(9/cost).
(9/cost)
La Corte costituzionale, con ordinanza 22 aprile-3 maggio 2002, n. 149 (Gazz.
Uff. 8 maggio 2002, n. 18, serie speciale), ha dichiarato la manifesta
infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 31, 37 e
40 sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
38.
Disposizioni penali.
Le
violazioni degli articoli 2, 4, 5, 6, 8 e 15, primo comma lettera a), sono
punite, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, con l'ammenda da
lire 300.000 a lire 3.000.000 (9) o con l'arresto da 15 giorni ad un anno.
Nei
casi più gravi le pene dell'arresto e dell'ammenda sono applicate
congiuntamente.
Quando
per le condizioni economiche del reo, l'ammenda stabilita nel primo comma può
presumersi inefficace anche se applicata nel massimo, il giudice ha facoltà di
aumentarla fino al quintuplo.
Nei
casi previsti dal secondo comma, l'autorità giudiziaria ordina la pubblicazione
della sentenza penale di condanna nei modi stabiliti dall'articolo 36 del
codice penale.
(9)
La misura dell'ammenda è stata così elevata dall'art. 113, terzo comma, L. 24
novembre 1981, n. 689. La sanzione è esclusa dalla depenalizzazione in virtù
dell'art. 32, secondo comma, della citata L. 24 novembre 1981, n. 689.
39.
Versamento delle ammende al Fondo adeguamento pensioni.
L'importo
delle ammende è versato al Fondo adeguamento pensioni dei lavoratori.
40.
Abrogazione delle disposizioni contrastanti.
Ogni
disposizione in contrasto con le norme contenute nella presente legge è
abrogata.
Restano
salve le condizioni dei contratti collettivi e degli accordi sindacali più
favorevoli ai lavoratori (9/cost).
(9/cost)
La Corte costituzionale, con ordinanza 22 aprile-3 maggio 2002, n. 149 (Gazz.
Uff. 8 maggio 2002, n. 18, serie speciale), ha dichiarato la manifesta
infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 31, 37 e
40 sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
41.
Esenzioni fiscali.
Tutti
gli atti e documenti necessari per la attuazione della presente legge e per
l'esercizio dei diritti connessi, nonché tutti gli atti e documenti relativi ai
giudizi nascenti dalla sua applicazione sono esenti da bollo, imposte di
registro o di qualsiasi altra specie e da tasse.