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articolo presentato quale rassegna approfondimenti

 

VINCENZO ZANZARELLA

Gli assessori-responsabili dopo la Finanziaria 2002

La facoltà, riconosciuta agli enti locali di minori dimensioni, di attribuire poteri gestionali ai componenti la Giunta Comunale apre problematiche numericamente più elevate di quanto si pensava potesse risolverne. Il tutto è da ricondursi ad un’attuale avanzato stadio della cultura amministrativa locale che, grazie anche alle conquiste contrattuali del personale, ha posto in luce un inappuntabile assioma organizzativo: la gestione dei procedimenti amministrativi richiede, nei tempi attuali, superiori livelli di tecnicismo e di qualificazione professionale, impossibili da tralasciare all’improvvisazione.

Non che queste caratteristiche stiano, per definizione, tutte dalla parte del pubblico impiego; è ugualmente vero, però, che gli assessori, di estrazione variegata e per la gran parte dei casi predestinati ad un’ineluttabile precarietà del ruolo, sono diffusamente scevri – specie nei piccoli comuni – di esperienze e conoscenze idonee per una acconcia capacità oggettiva di gestione.

Da questa constatazione sorgono, nella quotidianità della vita amministrativa, situazioni conflittuali originate dal desiderio di riconquista (dal lato assessorile) e dal desiderio di mantenimento (dal lato impiegatizio) di spazi di gestione, unitamente alle esigenze di visibilità nei confronti della comunità degli amministrati.

Infatti, se è lapalissiano che gli assessori vivono di consenso elettorale, è altrettanto veritiero che i funzionari resi responsabili di servizi vivono di pubblico apprezzamento, legato al buon nome ed alla prospettiva di incentivazione umana ed economica. Esaminiamo alcune pratiche considerazioni.

Il "diritto di opzione" del sindaco. Contenuto e modalità di esercizio.

E’ indubbio che l’avvalimento degli assessori e/o del personale dipendente, per la successiva nomina a responsabili di uffici e servizi, costituisce una competenza propria del sindaco espressamente confermata dal decreto legislativo 267/2000, pur sul presupposto dei criteri generali stabiliti dal Consiglio.

Al di là di qualsivoglia considerazione della portata politica di quello che soltanto aprioristicamente potrebbe essere considerato un potere fluttuante, il sindaco, quale capo dell’Amministrazione, ha l’onere e la responsabilità di esercitare il proprio diritto di opzione nel superiore interesse dell’efficienza dell’Ente e dell’attuazione del programma per il quale ottiene il consenso dell’elettorato. Del resto, il rischio del solipsismo può essere ampiamente arginato dal controllo delle forze sindacali nonché da altri meccanismi di riscontro delle responsabilità amministrative e contabili.

Tra la previsione normativa di cui all’art. 53, comma 23, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (finanziaria 2001) e quella di cui all’art. 29, comma 4, della legge 28 dicembre 2001, n. 488 (finanziaria 2002), sussiste una sostanziale differenza.

Inizialmente, sono state previste due essenziali condizioni per l’opzione della responsabilità agli assessori: la mancanza non rimediabile di figure professionali idonee nell’ambito dei dipendenti ed il contenimento della spesa.

Con la riforma è stata eliminata la prima condizione, per cui oggi è consentita una liberalizzazione del "diritto d’opzione" del sindaco, il quale – in un contesto più ampio di azione amministrativa organizzatoria - non è più tenuto ad osservare passaggi obbligati nel management delle risorse umane. Pertanto, avendo di mira unicamente l’obiettivo del "contenimento" della spesa, il sindaco può pretermettere i dipendenti per giungere direttamente agli assessori.

Orbene, nominare i responsabili gli assessori pur in presenza di personale idoneo non può significare, sommariamente, mortificazione di quest’ultimo, bensì diversa utilizzazione in un quadro di flessibilità organizzativa, che costituisce il principio cardine della ristrutturazione dell’Ente del resto sotteso dalla finanziaria del 2002. Allo stesso modo, il principio del contenimento della spesa non deve essere inteso nei termini assoluti di ridotto impiego dei mezzi finanziari, essendo consolidata nella prassi amministrativa la regola che le risorse monetarie devono essere sfruttate al meglio delle loro possibilità.

Ne deriva che nulla impedisce al sindaco - dopo aver sulle prime optato per gli assessori - di ritornare al personale, dimostrando che, pur con le indennità contrattuali, si guadagna il risparmio di spesa in termini generali ad esempio sul versante dei contenziosi o della formazione degli assessori neofiti.

Dubbi sorgono sulla interpretazione letterale delle due normative poste a confronto. Il legislatore finanziario del 2002 ha disposto l’eliminazione delle parole <<che riscontrino e dimostrino la mancanza non rimediabile di figure professionali idonee nell’ambito dei dipendenti>> lasciando in vigore il secondo inciso <<anche al fine di operare un contenimento della spesa>>. In questa operazione di microchirurgia legislativa è stata tralasciata la parola <<anche>> che, nella formulazione del 2001, annunciava la seconda condizione per l’alternativa degli assessori. Ma si tratta davvero di una dimenticanza?

Può anche darsi che, addirittura, il criterio del contenimento della spesa oggi non sia necessario e ineludibile, divenendo un orientamento di massima; ciò conferma l’opinione comune, mai smentita da alcuno, che nei piccoli Enti si avvertiva da tempo il bisogno di elidere la crudele separazione tra programmazione e gestione a favore del ritorno dei politici alla concreta cura degli interessi pubblici, quelli propri di una collettività intensamente ravvicinata. Anzi, la portata degli affari comunali è tale che appare perfino consigliabile che l’assessore che programma provveda alla contestuale gestione, per compiere quella personificazione della politica che la recente storia del nostro Paese ha ritenuto imprescindibile per combattere i sistemi occulti di potere o le così dette deleghe in bianco.

Altro dubbio interpretativo è quello vertente sulla documentazione annuale, con apposita deliberazione in sede di approvazione del bilancio, circa il contenimento della spesa. Il dubbio sorge soprattutto perché il dato finanziario è fin troppo semplice e di facile certificazione: se il sindaco nomina i responsabili tra il personale, c’è l’uscita monetaria della indennità contrattualmente istituita e quantificata; se il Sindaco nomina i responsabili tra gli assessori, non si verifica l’uscita monetaria.

Richiedere una documentazione da approvare con deliberazione in sede di bilancio è una smisurata garanzia, essendo sufficiente evidenziare le conseguenze economico-finanziarie del "diritto di opzione" del sindaco con esposizione discorsiva all’interno della relazione programmatica, quest’ultima quale documento del bilancio approvato con deliberazione.

L’ultimo dubbio è sulla tempistica: la precisazione del bilancio significa che al di fuori di esso non sia più possibile operare mutamenti organizzativi?

Sembra che tale interpretazione sia fortemente limitativa dell’autonomia dell’Ente, per cui bisogna concludere che in sede di bilancio si debbano soltanto evidenziare i motivi della manovra organizzativa compresi gli effetti economico-finanziari; inoltre, bisogna considerare che l’eventuale manovra adottata nel corso dell’esercizio finanziario possa essere ripresa e giustificata nel bilancio dell’esercizio successivo.

Queste conclusioni, oltre che essere rette da un riferimento normativo non eccessivamente vincolante quanto ai tempi ed alla legittimazione, conferma che la documentazione deliberativa è un contenitore il cui riempimento è rimesso alle scelte dei singoli Enti.

Chi esprime i pareri di regolarità tecnica e contabile?

La tentazione del sillogismo è viva: dato l’articolo 49 del T.U. 267/2000, che richiede l’espressione dei pareri ai responsabili di uffici e servizi e dato, in subordine, che un assessore può essere nominato responsabile di uffici e servizi, ne deriverebbe che l’assessore esprime i pareri di regolarità tecnica e contabile. Nulla di più infondato.

Non esiste una parte normativa che definisca ontologicamente il responsabile di uffici e servizi, né esiste una altrettale comodità per il responsabile del procedimento. Quanto a quest’ultimo, l’articolo 6 della legge 241 del 1990 offre una soddisfacente elencazione di atti e di attività, per cui deve intendersi per responsabile del procedimento il dipendente che, previo formale incarico, esercita tutte o una parte rilevante delle attribuzioni previste dalla citata fonte normativa.

Chi meglio del responsabile che valuta, accetta, propone, cura, adotta il provvedimento formale o trasmette gli atti a chi di competenza per l’adozione finale (nel nostro caso il responsabile di uffici e servizi) può esprimere i pareri, avendo ricevuto la trattazione del procedimento? La rilevanza esterna esercitata da un organo attuativo non può, infatti, prescindere da un’attività propedeutica condotta da una figura professionale tecnica, qual è il responsabile del procedimento.

Al sillogismo si contrappone, allora, la logica consequenzialità della strutturazione organizzativa: l’attribuzione della responsabilità agli assessori si configura quale attribuzione di rilevanza esterna; i dipendenti professionalmente idonei predispongono uno stadio di pre-rilevanza nel quale essi stessi provvedono alla formazione dell’atto istruito, corredato di parere e pronto per essere immesso nel mondo giuridico attraverso la rilevanza esterna impressa dall’assessore responsabile.

In tal senso si giustifica l’utilizzo alternativo dei dipendenti, verso i quali può essere invocata l’applicazione dell’art. 14, comma 1, lettera f) del CCNL 1° aprile 1999 con il quale <<compensare l’eventuale esercizio dei compiti che comportano specifiche responsabilità da parte del personale>> inquadrato, a certe condizioni, nelle categorie B, C e D. In questo modo, quindi attraverso il riconoscimento di funzioni plurime procedimentali e di elevata definizione in vista della rilevanza esterna finale, al personale non responsabile si riconoscono percorsi professionali alternativi, adeguati e comunque premianti.

Sindaco – Responsabile di Uffici e Servizi.

Di grande frequenza è la cura ad interim, da parte del Sindaco, di uno o più materie assessorili, con la correlata responsabilità politica per le competenze esercitate. Inoltre, non infrequenti sono gli spunti normativi per una equiparazione del sindaco agli assessori, come l’eguaglianza del suo voto in Giunta e l’obbligo di astensione, ovvero come la casistica della incompatibilità e della decadenza.

Di fronte ad un trattamento giuridico di base di tipo egualitario, nulla impedisce che il sindaco possa assurgere a responsabile di uffici e servizi, non nel senso dell’autoproclamazione ma in quello della avocazione della materia politica con congiunta messa in atto dei poteri gestionali. Il piano teorico si scontra sempre con quello pratico, ed alla legge altro non spetta che registrare consuetudini amministrative da tempo in atto, laddove in comuni striminziti il sindaco a volte fa anche il vigile urbano.