CEIDA

 

 

Master Enti Locali

 

Marzo 2002 – Giugno 2002

 

 

Tesina di approfondimento

 

“Natura giuridica delle Comunità Montane e dei Consorzi di Bonifica alla luce del

Testo Unico degli Enti Locali”

 

 

 

 

 

Autore         Dott. Francesco Nesta

 

 

Relatore      Dott. Eugenio Mele

 

 

 


            Introduzione

 

            Quando parliamo di enti locali o di autonomie locali ci riferiamo alla medesima realtà: soggetti pubblici che concorrono a formare l’apparato statale e che provvedono alla cura degli interessi delle collettività di riferimento.

            L’ordinamento italiano è stato sempre caratterizzato dalla realtà delle autonomie locali. Senza ripercorrere le tappe che hanno portato al concreto riconoscimento delle stesse, è bene indicare i riferimenti normativi relativi alla disciplina delle autonomie locali nell’ambito dell’ordinamento repubblicano.

            La nostra Costituzione afferma all’art. 5 che la Repubblica Italiana riconosce e promuove le autonomie locali e attua il più ampio decentramento: ciò significa che il costituente era ben consapevole della indefettibile presenza nell’ordinamento statale di queste realtà che caratterizzano l’articolazione della Repubblica ed ha lasciato al legislatore ordinario il compito di dettare la concreta disciplina delle stesse. E’ poi il Titolo V della Costituzione, artt. 114 e ss., che detta le disposizioni e i principi fondamentali cui deve uniformarsi tale disciplina (questa parte risulta oggi oggetto di grande attenzione a seguito della riforma operata con legge costituzionale n. 3/2001, entrata in vigore l’8 novembre 2001). Il legislatore ordinario è intervenuto a disciplinare le autonomie locali in maniera completa e articolata soltanto nell’ultimo decennio, a partire dalla legge n. 142/1990, passando per la legge n. 81/1993, il decreto legislativo n. 29/1993 e il successivo decreto legislativo n. 80/1998, per poi arrivare ai nostri giorni con le leggi Bassanini n. 59 e n. 127 del 1997, il decreto legislativo n. 112/1998, la legge n. 265/1999 fino al decreto legislativo n. 267/2000, ovvero il Testo Unico degli Enti locali.

            Le fonti normative che oggi devono essere seguite ai fini dell’esame delle autonomie locali – enti locali sono quindi il Testo Unico n. 267/2000 e l’articolato del Titolo V della Costituzione così come modificato dalla legge costituzionale n. 3/2001. Innanzi tutto occorre individuare i soggetti che consideriamo enti locali. Mentre il legislatore costituzionale ha ribadito che la Repubblica è formata da Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, il legislatore ordinario ha stabilito che devono considerarsi enti locali Comuni, Province, Città metropolitane, Comunità montane, Comunità isolane e Unioni di comuni. L’art.  114 della Costituzione sancisce una equiparazione istituzionale dei soggetti pubblici del nostro ordinamento: operata una scissione e quindi una netta distinzione tra Repubblica Italiana e Stato (prima della legge costituzionale n. 3/2001 ci trovavamo di fronte ad una endiadi), in osservanza del principio di sussidiarietà (principio di derivazione europea introdotto nel sistema comunitario dal Trattato di Maastricht) troviamo che accanto all’ente statale si pongono le Regioni, le Province, le Città metropolitane e i Comuni, tutti individuati e riconosciuti quali enti autonomi. L’art. 114 individua come primo ente, più vicino alla collettività, il Comune e poi sale fino allo Stato passando per i livelli intermedi di Provincia e Regione (la figura delle Città metropolitane non ha trovato concreta attuazione se non per la mera individuazione, da parte del legislatore, delle aree metropolitane, ovvero quelle porzioni di territorio sulle quali detti enti andranno ad insistere e ad operare). L’art. 2 del Testo Unico n. 267/2000 delinea invece uno spettro più ampio rispetto all’elenco presente nella Costituzione: tralasciando le Regioni, in quanto considerate soggetti intermedi tra Stato ed enti locali con funzioni di indirizzo, controllo e coordinamento degli stessi, sono considerati enti locali Comuni, Province, Città metropolitane, Comunità montane, Comunità isolane e Unioni di comuni, nonché i Consorzi cui partecipano gli enti locali.

Ai fini del presente lavoro, risulta ultronea l’analisi delle principali novità introdotte dal Testo Unico e dalla riforma del Titolo V della Costituzione, mentre ciò che rileva è l’esame di due figure di enti locali che fino ad oggi non avevano trovato una compiuta disciplina né un compiuto riconoscimento in quanto considerati qualcosa di diverso o comunque dotati di minore dignità istituzionale: le comunità montane e i consorzi di bonifica. Sarà poi necessario analizzare i rapporti tra dette figure e le altre realtà locali presenti nel nostro ordinamento, al fine di individuare la possibilità di prevedere forme di controllo sul loro esercizio di funzioni propriamente ritenute autonome.


Comunità montane

 

Le Comunità montane sono enti locali costituiti tra Comuni montani e parzialmente montani, non necessariamente della stessa Provincia, aventi lo scopo di promuovere la valorizzazione delle zone montane, l’esercizio di funzioni proprie e di funzioni conferite e l’esercizio associato delle funzioni comunali. Alla base della disciplina delle Comunità montane troviamo l’art. 44 della Costituzione “La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane” e il novellato art. 118 della Costituzione riferito al principio di sussidiarietà; la legge n. 1102/1971, che ne ha previsto l’istituzione; la legge n. 93/1981, che è intervenuta ad integrazione della precedente; la legge n. 97/1994, che ha dettato nuove disposizioni in materia; le leggi n. 59/1997 e n. 127/1997, con il relativo decreto legislativo n. 112/1998, norme tutte improntate sul fondamentale principio di sussidiarietà e sulla delega di poteri e funzioni per la realizzazione di un concreto decentramento; le leggi regionali di individuazione delle zone omogenee, con i conseguenti decreti del Presidente della Regione volti alla istituzione delle comunità montane; e, da ultimo, il Testo Unico degli Enti locali approvato con decreto legislativo n. 267/2000 che agli artt. 27-29 detta le disposizioni relative agli enti montani in questione. Partendo proprio da queste ultime disposizioni del Testo Unico rileviamo che le Comunità montane sono oggi considerate quali Unioni di Comuni e quindi veri e propri enti locali distinti e autonomi rispetto agli enti partecipanti. Prima novità è che le nuove disposizioni del TUEL sanciscono che le unioni di comuni non sono più preordinate alla creazione di un unico soggetto comunale frutto della fusione di piccoli comuni, ma rimangono soggetti distinti destinati alla cura di interessi che trascendono le singole collettività di riferimento e che necessitano di una trattazione comune (la legge n. 142/1990 prevedeva invece la possibilità di ricorrere ad una unione di comuni solo se proiettata verso la fusione degli stessi in un unico soggetto e tale previsione frenava fortemente il ricorso a tale figura). Seconda novità è che la disciplina delle Comunità montane si ricava attraverso il rinvio alle norme dettate per le unioni di comuni, le quali si fondano sui principi dettati in materia di ordinamento dei comuni.

L’istituzione della Comunità montana avviene con Decreto del Presidente della Giunta Regionale dopo che con legge regionale si è provveduto ad individuare gli ambiti territoriali omogenei idonei a realizzare gli interventi per la valorizzazione della montagna e l’esercizio associato di funzioni comunali. Non possono far parte delle comunità montane i comuni capoluogo di provincia e i comuni con popolazione superiore a 40.000 abitanti; è però possibile per tali comuni provvedere alla stipulazione di convenzioni con la comunità montana loro più vicina, al fine di delegare funzioni che rientrano nelle competenze di questa e quindi riconducibili nell’ambito del loro operato. La legge regionale che individua le zone territoriali ove far sorgere le Comunità montane provvede anche a disciplinare: le modalità di approvazione dello statuto, le procedure di concertazione, i piani zonali pluriennali e i programmi annuali, i criteri di ripartizione tra le Comunità montane dei finanziamenti regionali e di quelli europei, i rapporti tra le comunità montane e gli altri enti operanti nel territorio.

Da quanto appena detto si evince innanzi tutto che le Comunità montane sono enti locali dotati di autonomia statutaria e ciò è molto rilevante in quanto sono esse stesse che, attraverso lo statuto, provvedono a disciplinare la propria organizzazione interna, i propri organi e i propri uffici, nonché il proprio ambito di competenze, individuando i propri compiti e le modalità di realizzazione degli stessi. In virtù di questa autonomia statutaria, le Comunità montane possono poi intervenire con propri regolamenti a disciplinare nel dettaglio le proprie attività. Statuto e regolamenti sono quindi i segni tangibili che ci fanno sostenere di essere di fronte a vere e proprie autonomie locali autonome e indipendenti rispetto agli enti partecipanti, seppur legate alle linee di indirizzo dettate dagli stessi.

Per quanto riguarda gli organi delle Comunità montane, il TUEL prevede un organo rappresentativo che ha il compito di determinare l’indirizzo politico e amministrativo da perseguire: il Consiglio della comunità montana, che è organo deliberante e che provvede all’approvazione dello Statuto e dei regolamenti. Vi è poi un organo esecutivo, destinatario di funzioni esecutive e gestionali dell’attività della Comunità montana, che ha il compito di dare attuazione alle decisioni assunte dal Consiglio: è la Giunta della Comunità montana, che ha potere deliberativo e che disciplina l’organizzazione degli uffici e del personale ricorrendo allo strumento regolamentare, secondo le nuove previsioni dettate dal Testo Unico. Terzo organo è il Presidente nominato dal Consiglio e posto a capo della Giunta; ha la legale rappresentanza dell’ente e sovrintende e coordina l’attività dell’esecutivo. Gli organi della Comunità montana sono formati esclusivamente da amministratori – sindaci, assessori e consiglieri – provenienti dai comuni partecipanti e il Presidente può contemporaneamente ricoprire la carica di sindaco di uno dei comuni associati. Il numero dei componenti degli organi della Comunità montana si ricava facendo rinvio alle norme dettate in materia per i comuni: non può eccedere il numero previsto per i comuni di dimensioni pari alla popolazione dell’ente.

Le Comunità montane sono titolari di molteplici funzioni: queste possono essere affidate loro direttamente dalle leggi di riferimento oppure possono essere delegate loro dai Comuni partecipanti, dalle Province interessate, dalla Regione o dallo Stato. Abbiamo così funzioni proprie, funzioni delegate e funzioni svolte nell’espletamento di compiti associativi. Tra le prime spicca la funzione programmatoria e di pianificazione delle Comunità montane, che adottano il piano pluriennale di sviluppo economico e sociale, il quale descrive e rappresenta le possibilità di sviluppo nei vari settori economici, produttivi e sociali in conformità degli obiettivi stabiliti dall’Unione Europea, dallo Stato e dalla Regione. Il piano pluriennale di sviluppo rispecchia gli obiettivi fissati a livello regionale, nazionale e comunitario, e coinvolge la Provincia di riferimento che provvede alla sua approvazione. I piani pluriennali sono improntati alla salvaguardia e valorizzazione dell’ambiente avendo come finalità il riassetto idrogeologico, la sistemazione idraulico-forestale, l’uso delle risorse idriche, la conservazione del patrimonio monumentale, dell’edilizia rurale, dei centri storici e del paesaggio rurale e montano. Anche la programmazione urbanistica rientra nel piano pluriennale, in quanto questo contiene indicazioni che concorrono alla realizzazione del piano territoriale di coordinamento di competenza provinciale e presenta una visione globale dei piani regolatori generali dei comuni coinvolti. Tra le funzioni attribuite e delegate, o come meglio si ricava dalle leggi Bassanini, “conferite” dalla legge statale o regionale alle Comunità montane, rilevano quelle relative al controllo degli scarichi e alla gestione degli impianti di acquedotto e di depurazione. Di particolare importanza è poi la gestione del patrimonio forestale che è funzione delegata proprio dalle Regioni. Sono poi funzioni delegate quelle che i Comuni trasferiscono direttamente alle Comunità montane in quanto necessitano di una trattazione unitaria a livello sovracomunale, pur non richiedendo un esercizio a livello regionale. Da ultimo abbiamo tutte quelle funzioni che sono attribuite alle Comunità montane in quanto devono essere esercitate dai Comuni in associazione tra loro. Si tratta di funzioni che possono essere ricondotte, in base a previsioni normative, a settori omogenei quali:

-            costituzione di strutture tecnico-amministrative di supporto alle attività istituzionali dei Comuni, tra cui compiti di assistenza al territorio;

-            raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani;

-            organizzazione del trasporto locale, in specie quello scolastico;

-            organizzazione del servizio di polizia municipale;

-            realizzazione di strutture di servizio sociale per gli anziani;

-            realizzazione di strutture sociali di orientamento e formazione per i giovani;

-            realizzazione di opere di interesse pubblico nel territorio di loro competenza.

Per quanto riguarda l’autonomia delle Comunità montane dal punto di vista economico, finanziario e impositivo, è bene sottolineare come esse finanziano le proprie attività esclusivamente con le risorse provenienti dai trasferimenti dello Stato e di altri enti pubblici e con la contrazione di mutui presso la Cassa Depositi e Prestiti. Il decreto legislativo n. 244/1997 ha previsto che le Comunità montane sono destinatarie di parte del fondo ordinario, del fondo nazionale ordinario per gli investimenti e del fondo per lo sviluppo degli investimenti. In materia di mutui, sono i comuni partecipanti che provvedono a delegare le Comunità montane a contrarre mutui per loro conto con la Cassa Depositi e Prestiti. Le comunità montane operano quindi soltanto in virtù di entrate derivate e non possono ricorrere a forme proprie di imposizione. Le uniche entrate che possiamo definire proprie sono quelle che possono derivare quale corrispettivo dei servizi prestati.


Consorzi di bonifica

 

Gli enti locali, per la gestione associata di uno o più servizi e per l’esercizio associato di funzioni, possono costituire un consorzio, il quale si caratterizza per essere soggetto distinto ed autonomo rispetto agli enti partecipanti. I Consorzi di Bonifica sono appunto soggetti distinti rispetto agli altri enti locali. Tuttavia, prima di analizzarne gli aspetti salienti, è opportuno provvedere ad una breve esposizione riguardo al significato e al concetto di “bonifica”.

Infatti, taluni aspetti dei Consorzi di Bonifica sono purtroppo sconosciuti alla stragrande maggioranza dei cittadini e degli stessi consorziati: sono scarse le informazioni sulla loro natura, nonché sui compiti che sono loro affidati e, soprattutto, sull’attività che sono chiamati a svolgere. Tuttavia, in un comprensorio ad alto o medio tasso urbanistico, le infrastrutture di bonifica sono presenti, anche se quasi sempre nascoste agli occhi distratti della gente, malgrado la dipendenza e l’integrità del territorio siano in connessione assai stretta con dette opere: riconosciuta da sempre l’importanza del rischio idrico ed idrogeologico, si deve prestare altrettanta attenzione alla conoscenza dei processi di regimazione dell’acqua e di difesa idraulica. Il riconoscimento del carattere pubblico della Bonifica e dell’irrigazione dei campi, nonché dei consorzi di proprietari, ha una primogenitura che risale a molti secoli addietro. I compiti e le funzioni del Consorzio di Bonifica trovano oggi la loro fonte in leggi statali e regionali, anche se, per una sintesi autorevole di tali compiti, giova ricorrere alla sentenza della Corte Costituzionale n°66 del 1992, la quale recita testualmente: “La bonifica è un’attività pubblica che ha per fine la conservazione e la difesa del suolo, l’utilizzazione e tutela delle risorse idriche e la tutela ambientale. I Consorzi di Bonifica sono una delle istituzioni principali per la realizzazione degli scopi di difesa del suolo, di risanamento delle acque, di fruizione e di gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale e di tutela degli assetti ambientali ad essi connessi”. Le competenze in tema di bonifica, prima di competenza statale, sono diventate di attribuzione regionale con un primo parziale decentramento attuato nel 1972 ad opera del D.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11, concernente la materia dell'agricoltura e foreste, della caccia e della pesca nelle acque interne, che trasferì alle regioni a statuto ordinario le funzioni riguardanti la bonifica integrale e montana, comprese quelle già esercitate dallo Stato nei confronti dei Consorzi; la classificazione e declassificazione dei comprensori di seconda categoria, l'approvazione e l'attuazione dei piani generali di bonifica, le opere di bonifica, con esclusivo riferimento all'ambito del territorio regionale. Lo Stato si riservò, oltre la classificazione e declassificazione dei comprensori di prima categoria, tutte le funzioni di rilievo ultraregionali - riguardanti cioè opere, classificazione, comprensori, piani, consorzi a dimensione interregionale - che furono ritenute d'interesse nazionale.    

Successivamente il D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 attuò un consistente trasferimento di competenze dallo Stato e dai molteplici enti pubblici operanti nei vari settori e a vario livello, alle Regioni e agli enti locali, stabilendo una ricomposizione-trasformazione decentrata di funzioni pubbliche.

Per l’adempimento dei compiti di salvaguardia sulle acque di superficie, i Consorzi si affidano ad una fitta rete di canali, i quali possono confluire direttamente nei fiumi, ove scaricano la loro portata, oppure presso gli impianti idrovori consorziali, ove le acque vengono sollevate e pompate per mantenere in asciutta il bacino servito. Occorre chiarire che la manutenzione ai corsi d’acqua presenti sul territorio (nazionale) è distribuita secondo le seguenti competenze:

§          al Magistrato alle Acque, per i fiumi;

§          alla Regione per le opere ed i manufatti connessi alla navigazione interna;

§          al Consorzio, per i canali di bonifica;

§          ai proprietari, per i fossi privati.

L’attività dei Consorzi consiste soprattutto:

§          nella realizzazione delle opere pubbliche di bonifica (canali, impianti idrovori, manufatti, apparecchiature, telecontrollo, ecc.) attraverso lo strumento amministrativo della concessione/delega da parte dello Stato e della Regione;

§          nella manutenzione ordinaria e straordinaria dei canali di bonifica e degli innumerevoli manufatti di regolazione e manovra, attraverso:

o         il taglio delle erbe;

o         il riescavo dei canali quando si intasano;

o         la ripresa delle frane che si verificano negli stessi;

o         la manutenzione e l’esercizio delle apparecchiature di manovra e di regolazione dei livelli idrici;

§          nella conservazione, esercizio ed aggiornamento degli impianti idrovori consorziali e dei manufatti accessori;

§          nel soddisfacimento del servizio irriguo in agricoltura;

§          nel mantenimento della portata minima vitale all’interno della canalizzazione che attraversa i centri urbani;

§          nel servizio di guardiania, di vigilanza e di regolamentazione delle richieste dei privati per l’esecuzione di opere che riguardano le reti idrauliche di bonifica.

L’attività di Bonifica riguarda tutti gli insediamenti presenti nel comprensorio, tanto quelli agricoli come quelli extra agricoli. E’ bene ricordare che il comprensorio è il territorio su cui il Consorzio esercita la propria competenza: esso è circoscritto da un perimetro che deve essere approvato dalla Regione con propria legge.

Il sistema di opere di regimazione idraulica e specificatamente di scolo diventa centrale per la difesa dalle inondazioni non solo dei terreni agricoli ma di tutto il territorio a qualunque uso adibito; si mostra importante al fine dell'abbattimento dei carichi inquinanti dei corsi d'acqua naturali;  costituisce spesso lo strumento per il trasporto di grandi quantità di acque reflue dei centri urbani e degli stabilimenti industriali. L'originario principale scopo agricolo della bonifica rimane, ma ha perso la sua puntuale identità per acquisirne una di più ampio respiro e di interesse generale. La bonifica è venuta cioè assumendo imprescindibili compiti di difesa complessiva del suolo e delle sue risorse per fini d'interesse pubblico sempre meno settoriali. Tale processo di mutamento si è accentuato in concomitanza con l'attuazione dell'ordinamento regionale e viene parzialmente recepito e rilanciato dalla stessa produzione legislativa regionale.

Le funzioni in materia di bonifica s'inseriscono in un contesto di competenze trasferite riguardanti la difesa, l'assetto e l'utilizzazione del suolo, la tutela dell'ambiente, la protezione della natura, la difesa, la tutela e l'uso delle risorse idriche in ordine a  cui le regioni a statuto ordinario vennero ad assumere un ruolo centrale: quello cioè di enti di governo preposti alla gestione sistematica e  programmata del territorio e delle sue risorse.    

Tale complessivo e organico assetto di funzioni ha reso possibile una produzione legislativa regionale di riforma in materia di bonifica che si è andata ad affiancare alla precedente e tutt'ora vigente, quanto meno nelle sue disposizioni di principio, disciplina statale (R.D. 215/33; L. 991/52; ecc.). A sua volta detta normativa regionale di riforma va letta ed interpretata tenendo conto sia della più recente legislazione nazionale  in tema di territorio, paesaggio, ambiente, acque, suolo, aree protette (cfr. ad es., L. 431/85; L. 349/86; L. 183/89;  L. 305/89;  L. 394/91; D. Leg.vo 275/93; L. 59/97; D. Leg.vo 112/98) sia della restante disciplina regionale come ad esempio quella in tema di pesca, di forestazione, di opere acquedottistiche, di vincoli paesaggistici ed ambientali, di parchi, di lavori pubblici d'interesse regionale e locale, di controllo sugli  atti e sugli enti, che contengono disposizioni modificative o comunque direttamente incidenti od interferenti sulla disciplina settoriale  della bonifica cui sopra si è fatto riferimento.

L'attività amministrativa dei Consorzi, quella di esecuzione di opere e d'interventi, ha inoltre dovuto confrontarsi con la recente legislazione generale di riforma in tema di procedimento amministrativo, di accesso agli atti, di appalti. Oltre all’attività di manutenzione sopra descritta, i Consorzi sono chiamati ad occuparsi della progettazione e della realizzazione delle opere pubbliche di bonifica di rilevante importanza, necessarie per stare al passo con i tempi e con le situazioni di un territorio che cambia in continuazione. Per far ciò è necessario richiedere allo Stato ed alle Regioni i relativi finanziamenti. I Consorzi assumono così la veste di soggetti attuatori di opere pubbliche e come tali risultano essere vincolati alla normativa sui pubblici appalti. Operativamente, i Consorzi, quando individuano la necessità di realizzare nuove opere nel comprensorio, predispongono i progetti e li sottopongono alle Amministrazioni Centrale e/o Regionali (a seconda della competenza) per l’approvazione e per l’assegnazione delle risorse. Ultimati e collaudati i lavori, l’opera viene presa in consegna dai Consorzi stessi che ne assumono l’esercizio e la manutenzione.

            I Consorzi di Bonifica devono provvedere a coordinare le proprie attività con gli interventi dei comuni interessati e degli altri enti locali con i quali possono entrare in relazione evitando così possibili contrasti (il riferimento è alle comunità montane le quali, avendo anch’esse il compito di salvaguardare un territorio difficile quale è quello montano, si possono scontrare con i Consorzi di Bonifica).

            Gli organi dei Consorzi sono:

-            l’Assemblea dei Consorziati;

-            il Consiglio dei Consorziati;

-            il Presidente del Consiglio dei Consorziati;

-            la Giunta del Consorzio.

Tali organi possono assumere anche una diversa denominazione. Le loro funzioni sono quelle proprie degli organi corrispondenti degli altri enti locali e per il numero dei componenti si fa riferimento ai parametri dettati per i comuni aventi una superficie ed una popolazione analoga. I membri dell’organo assembleare sono eletti tra i proprietari dei terreni che rientrano nel comprensorio del Consorzio, dai Comuni, dalle Province e dalla Regione. I Consorzi di Bonifica sono dotati di un proprio Statuto che viene approvato dalla Regione di appartenenza e detta la disciplina delle funzioni e delle competenze, proprie e delegate, individuate sia dalla normativa nazionale che da quella regionale. Lo strumento statutario disciplina l’organizzazione del Consorzio, l’organizzazione degli uffici e l’esercizio del potere regolamentare. La Regione provvede a fissare il regime dei contributi consortili che costituiscono la principale fonte di entrata cui si affiancano contributi comunitari, statali e regionali. Sono poi i Consorzi stessi a provvedere alla riscossione dei contributi consortili irrogando anche le sanzioni per eventuali inadempimenti. Per il resto i Consorzi di Bonifica sono destinatari di finanziamenti comunitari, nazionali e regionali: come per le comunità montane, siamo di fronte ad enti autonomi dotati di autonomia finanziaria prevalentemente indiretta.

Secondo un costante orientamento, i Consorzi di Bonifica, i cui componenti sono sia soggetti privati che comuni, sono considerati quali enti pubblici economici: seppur dotati di una diversa configurazione degli altri enti locali, la loro natura pubblica non può essere messa in discussione e pertanto sono da considerare enti pubblici alla stessa stregua d comunità montane, unioni di comuni e comuni. Lo stesso TUEL dispone che le disposizioni del testo unico si applicano ai Consorzi ove non esista diversa disciplina che potrà essere dettata soltanto da norma regionale.


Il sistema dei controlli su Comunità Montane e Consorzi di Bonifica

 

Le Comunità montane e i Consorzi di Bonifica compiono le proprie attività attraverso determinati atti che necessitano di un controllo da parte di un ente ad essi sovraordinato, o meglio questo era ciò che avveniva fino all’8 novembre 2001. Da questa data infatti è entrato in vigore il nuovo Titolo V della Costituzione Italiana il quale non prevede più la presenza di un organo regionale di controllo sugli atti degli enti locali presenti nella regione: il vecchio ed ormai abrogato art. 130 Cost. prevedeva l’istituzione in ogni regione del CO.RE.CO., organo al quale comuni, province, comunità montane e gli stessi consorzi dovevano sottoporre le proprie deliberazioni a controllo di legittimità, subordinando a questo la loro efficacia. Con la scomparsa dei Comitati Regionali di Controllo, decisa in sede di Conferenza Permanente Stato – Regioni, il problema che si pone è il seguente: chi controlla gli atti di tali enti? Una risposta immediata sarebbe quella di riconoscere direttamente responsabili tali enti dei propri atti essendo gli stessi sottoposti al controllo diretto della Corte dei Conti e quindi riconoscendo la necessità per ogni ente locale di individuare al proprio interno organi deputati al controllo di gestione e di attività dell’ente. Ma ciò può non bastare, o meglio non è sufficiente. Esiste infatti un’insopprimibile esigenza per l’ente – Regione di controllare ciò che accade nel proprio territorio e quindi una esigenza di verifica costante dell’operato degli enti locali per valutare eventuali discrasie rispetto alle necessità delle collettività interessate. Si pone quindi la necessità di disegnare una nuova forma di controllo da parte della Regione sull’operato degli enti locali presenti nel proprio territorio: sarà un controllo sull’attività di detti enti, si tratti di attività propria o conferita da altri soggetti, ma sarà pur sempre un controllo e chi dovrà effettuarlo sarà sempre la Regione che interverrà con un proprio organo che, se per ragioni di opportunità politico-istituzionale non si chiamerà più CO.RE.CO., avrà pur sempre una denominazione che farà riferimento alla Regione. Di sicuro non potrà essere un organo dello Stato, quale ad esempio il Prefetto, ad esercitare detto controllo sull’attività, in quanto il nuovo art. 117 della Costituzione, nell’effettuare la distinzione tra materie di competenza esclusiva dello Stato, concorrente Stato – Regione ed esclusiva delle Regioni ha appunto individuato la possibilità per queste ultime di dettare ciascuna un proprio ordinamento degli enti locali, seppur in osservanza dei principi dell’ordinamento statale.

Relativamente agli articoli del TUEL che disciplinavano l’attività del CO.RE.CO., occorre sottolineare come gli stessi devono oggi essere considerati quali disapplicati, non abrogati, in quanto è stato concordato tale atteggiamento da parte delle regioni tutte; l’abrogazione può avvenire infatti soltanto ad opera della Consulta che però non è stata ancora chiamata a pronunciarsi sul tema della permanenza di detti organi di controllo.

            In definitiva riscontriamo l’esigenza del permanere di una forma di controllo in capo alle regioni che interverranno non più sugli atti, ma sull’attività e quindi sul risultato dell’operato degli enti locali. Probabilmente si individueranno in capo agli enti locali obblighi di relazionare sulle proprie attività e sui risultati conseguiti, mentre le Regioni saranno chiamate a valutare se esercitare poteri sostitutivi ricorrendo alla nomina di commissari ad acta che provvederanno ad esercitare i poteri e le funzioni e a raggiungere gli obiettivi propri degli enti locali rimasti inerti e inadempienti oppure verificheranno il loro corretto operato.

            Per quanto riguarda la natura giuridica degli enti esaminati, si può senza dubbio concludere che le Comunità montane sono enti locali territoriali per espressa previsione dettata dal TUEL e quindi non si può non rimandare a tale testo normativo per conoscere la disciplina ad esse applicabile che poi è quella dettata per le Unioni di comuni. Riferendoci ai Consorzi di Bonifica, dobbiamo rilevare come la loro natura è sì quella di ente pubblico – ente locale, in quanto svolgono attività che interessano un determinato territorio ben individuato che comprende privati e comuni, ma la loro disciplina non è propriamente quella dettata dal TUEL, o meglio non necessariamente questa, poiché ai Consorzi di bonifica (e non solo ad essi, ma a tutti i consorzi cuci partecipano enti locali) si possono applicare le disposizioni del testo unico soltanto ove non esistano diverse disposizioni normative di produzione regionale.